VINI E DISTRETTI DEL VINO – legame do e ig

estremamente interessante il dibattito aperto da Davide Gaeta, docente economia università di Verona,  nella sua cantina della Valpolicella Eleva a proposito del rapporto, qualitativo e non solo, fra vini DO e IG, sullo stesso territorio, stesso distretto, vitigni e uvaggi molto simili

 

 


Piacenza Ovse-CevesUni

20 Dicembre 2022

Giampietro Comolli

Trovo estremamente interessante il dibattito aperto da Davide Gaeta, docente economia università di Verona,  nella sua cantina della Valpolicella Eleva a proposito del rapporto, qualitativo e non solo, fra vini DO e IG, sullo stesso territorio, stesso distretto, vitigni e uvaggi molto simili.

La stampa riporta alcune riflessioni interessanti di produttori chiamati a portare un contributo e difensori assoluti del valore diretto e indiretto di qualsiasi “denominazione” come i vicini di casa,  Marco Sartori e Mattia Vezzola. Definiti due puristi della doc. E’ abbastanza nota la mia posizione su DO-IG e relativi consorzi, ma non sono contrario ad un percorso alternativo e diversificato di accesso e arrivo alla DO da parte di tutti i territori produttivi. Anzi ne sono stato un estensore legale più di 20 anni fa, buttando le basi dell’erga omnes e del valore della piramide di qualità insieme al prof Mario Fregoni, allora docente, cattedratico, presidente OIV, presidente Comitato Vini, estensore della legge 164  del 1992 e ancora prima vicino alla Dpr 930 del 1963.

Tema noto, ma giustamente, tema che – oggi – deve essere sondato, forse rivisto o anche solo adattato a nuove condizioni aziendali e di mercato, ma anche di transizione ambientale, ecologica, energetica climatica e atmosferica.

Penso a due “fattori produttivi” della vitivinicoltura italiana che non hanno solo valore economico: la ricerca di vitigni distintivi territoriale che siano anche “naturalmente” resistenti alle malattie crittogame in modo da eliminare al 100% se possibile tutti gli agro e fito farmaci; secondo, la necessità per molti distretti DO italiani (Docg e Doc e Igt) oggi consolidati anche noti produttori di grandi vini riconosciuti messi in crisi o vicino alla crisi per un cambio climatico che “stressa” la vite e condiziona la tipologia del vino.

Penso alla siccità anche invernale e primaverile oltre che estiva e alle prolungate alte temperature in periodo vegetativo della pianta in zone del sud Italia, ma anche sulle coste marine, in pianura padana. Spostare le Doc? Mollare la vitis vinifera? Aspettare il genoma editing? Cambiare gusto e sapore ai vini Do?

Che risposta dà il consumatore? Il consumatore sa e conosce la problematica? Il mondo del vino è ancora molto orientato a privilegiare il nome di vitigno rispetto a quello geografico, solo in Europa esiste una tutela e scelta della denominazione territoriale … ma in alcuni casi sta regredendo per causa anche collegate alla “tutela” e alla funzione consortile di tutela delle proprietà intellettuali.

La UE stessa ha già posto sul tavolo il tema. E’ giusto quindi continuare a gestire l’attuale piramide? Tutti convinti i presenti sulla necessità di “svecchiare” il modello dei disciplinai delle DO e consentire un gestione piramidale più aziendale che consortile. La grande forza di un vino nasce nella azienda familiare per almeno qualche generazione, altrimenti è solo commercializzazione che poi si identifica in un distretto più ampio, poliedrico e multilaterale.

Affermazioni che sposano una mia idee di qualche anno fa quando ho iniziato a vedere “scollamenti” nei consorzi e nei territori soprattutto dove c’è una grande disparità di peso produttivo fra pochissime aziende vinicole e cooperative grandi e diverse piccole aziende famigliari. Oggi forse il tema quantità e peso aziendale si lega di più al rapporto disciplina e libertà di impresa e al rapporto qualità riconosciuta e qualità zonale-climatica  e molto meno rispetto alla gestione collettiva di una denominazione proprio per “bisogni” differenti fra piccoli imbottigliatori e grandi imbottigliatori. Tema che deve essere affrontato prima possibile. non è una questione di prezzo al consumo che fa la differenza, ma una qualità globale dettata da fattori diversi legati alla identità territoriale ma in base a aspetti e elementi umani e civili del tempo e dei modi.

Giampietro Comolli

Redazione Newsfood.com